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Riflessioni Cliniche e Aggiornamenti sul Modello Fear-Avoidance (FAM): oltre la paura del movimento

Aggiornamento: 17 apr




Negli ultimi tempi ho ripreso a esplorare il modello di evitamento da paura (Fear-Avoidance Model, FAM), uno dei quadri teorici più utilizzati nella clinica del dolore cronico. Per chi non conoscesse questo modello, esso descrive un processo attraverso cui l’individuo, interpretando il dolore come segnale di danno o pericolo, sviluppa paura del movimento o dell’attività fisica associati al dolore, portandolo ad evitare determinate azioni; questo evitamento può a sua volta generare disuso, disabilità e cronicizzazione del dolore.


Se da un lato ho sempre considerato il FAM utile per inquadrare alcuni comportamenti disfunzionali legati al dolore, dall’altro ne ho spesso percepito i limiti, soprattutto per la sua visione riduzionista di fenomeni psicofisici estremamente complessi (visione confermata in questo blog).

Questa sensazione trova conferma in una crescente mole di studi scientifici che rivalutano il modello FAM e propongono letture più multidimensionali e contestualizzate del dolore e della disabilità.


Ecco alcuni spunti aggiornati dalla letteratura (piu' o meno recente) che ritengo particolarmente rilevanti per la pratica fisioterapica.


1. FAM e dolore cronico: quanto è forte la connessione?

  • Studi longitudinali mostrano che la paura del movimento e credenze legate alla paura ed evitamento hanno un impatto da lieve a moderato sulla disabilità, e un’influenza ancora più debole sull’intensità del dolore (1-4).

  • Revisioni sistematiche più robuste evidenziano scarsa evidenza a supporto di una relazione causale diretta tra evitamento da paura e sviluppo di dolore cronico (5).

  • Inoltre, non è stato dimostrato un legame sistematico tra paura del movimento e bassi livelli di attività fisica nella vita quotidiana (1).


2. Il ruolo di altri fattori psicosociali

La paura non è quasi mai l’unico fattore in gioco. Altri elementi – come depressione, catastrofizzazione, bassa autoefficacia e intolleranza all'incertezza (nella popolazione giovanile e nei loro genitori) – possono coesistere e avere un effetto cumulativo sull'evitamento e rischio di disabilità. Parlare solo di "paura del movimento" rischia di oscurare la complessità emotiva e cognitiva che spesso accompagna il dolore persistente (6-8).


3. Non solo evitamento: overuse e strategie compensatorie

È interessante notare come alcune persone, in risposta al dolore e alla paura, sviluppino comportamenti opposti all’evitamento, come l’iperattività compensatoria: continuano a muoversi o lavorare, magari sovraccaricando altre regioni corporee, con il rischio di perpetuare il dolore.

Questi comportamenti possono contribuire a quella che viene definita una vera e propria “sindrome da sensibilizzazione”, in cui sia l’evitamento che il sovrauso contribuiscono all’aumento della sensibilità nocicettiva e alla cronicizzazione (9).


4. La paura non basta a spiegare il comportamento

Nuovi studi suggeriscono che non è tanto la paura, quanto la capacità di inibire risposte comportamentali automatiche di evitamento, a predire meglio l’esito funzionale del paziente.

Inoltre, anche il solo pensiero o intenzione di eseguire un movimento può attivare la risposta difensiva, ancora prima della paura. Questo sposta il focus terapeutico dalle emozioni ai meccanismi cognitivi di controllo e regolazione (10-11).


5. Attentional Biases: oltre la paura, oltre il pensiero

La Prof.ssa Judy Veldhuijzen sottolinea come gli attentional biases – ovvero la tendenza automatica a dirigere l’attenzione verso segnali dolorosi – possano svilupparsi indipendentemente dalla paura (12).

Iper-vigilanza, o la percezione di pericolo fisico come "embodied prediction of threat" (13) stimolata da cue sensoriali o ambientali legati al dolore, può rinforzare comportamenti disfunzionali anche in assenza di pensieri catastrofici o paura cosciente. Intervenire direttamente su questi meccanismi, ad esempio tramite:

  • Attentional Bias Modification (ABM)

  • Tecniche di consapevolezza e focus attentivo

può rappresentare un’ulteriore opportunità clinica (per maggiori info leggi questo blog)


Riflessione clinica personale

Nella mia esperienza, i/le pazienti non provano solo paura. Le risposte di evitamento possono derivare anche da vergogna, tristezza, frustrazione, senso di colpa o mancanza di motivazione. Ridurre tutto alla paura rischia di banalizzare un’esperienza complessa e soggettiva.

Allo stesso modo, non tutti i/le pazienti evitano: alcuni esagerano, compensano, ignorano il dolore per "non fermarsi". Comprendere e normalizzare questi comportamenti è parte del nostro lavoro.

Infine, come suggerisce Tim Wademan qui, il contesto socio-culturale è determinante: risorse economiche, rete sociale, accesso alle cure e ambiente in cui si è cresciuti influenzano profondamente l’esperienza e la gestione del dolore.


Conclusione

Come fisioterapisti, il nostro ruolo non è solo correggere il movimento, ma anche riconoscere e lavorare con la complessità dei fattori cognitivi, emotivi e ambientali che influenzano l’esperienza del dolore. Il modello FAM è stato utile, ma oggi possiamo (e dobbiamo) spingerci oltre, verso approcci più sfumati, personalizzati e integrati.


BIBLIOGRAFIA:

  1. Carvalho et al. Fear of Movement Is Not Associated With Objective and Subjective Physical Activity Levels in Chronic Nonspecific Low Back Pain. Arch Phys Med Rehabil 2017;98:96-104.

  2. Jensen J, Karpatschof B, Labriola M, Albertsen K. Do fear-avoidance beliefs play a role in the association between low back pain and sickness absence? A prospective cohort study among female health workers. J Occup Environ Med 2010;52:85–90.

  3. Lamoth CJC, Daffertshofer A, Meijer OG, Moseley GL, Wuisman P, Beek PJ. Effects of experimentally induced pain and fear of pain on trunk coordination and back muscle activity during walking. Clin Biomech 2004;19:551–63.

  4. Wideman T, Adams H, Sullivan M. A prospective sequential analysis of the fear avoidance model of pain. Pain 2009;145:45–51.

  5. Pincus T, Vogel S, Burton AK, Santos R, Field AP. Fear avoidance and prognosis in back pain – a systematic review and synthesis of current evidence. Arthritis Rheum 2006;54:3999–4010.

  6. Westman et al. Fear-avoidance beliefs, catastrophizing, and distress: a longitudinal subgroup analysis on patients with musculoskeletal pain. Clin J Pain 2011;27:567-77.

  7. Wideman TH, Sullivan MJ. Development of a cumulative psychosocial factor index for problematic recovery following work-related musculoskeletal injuries. Phys Ther 2012;92:58-68.

  8. Neville A, Kopala-Sibley DC, Soltani S, Asmundson GJ, Jordan A, Carleton RN, Yeates KO, Schulte F, Noel M. A longitudinal examination of the interpersonal fear avoidance model of pain: the role of intolerance of uncertainty. Pain. 2021 Jan 1;162(1):152-60.

  9. Hasenbring MI, Verbunt JA. Fear-avoidance and endurance-related responses to pain: new models of behavior and their consequences for clinical practice. Clin J Pain 2010;26:747-53.

  10. Meulders A, & Vlaeyen JW (2013). Mere intention to perform painful movements elicits fear of movement-related pain: an experimental study on fear acquisition beyond actual movements. J Pain, 14 (4), 412-23 PMID: 23453562

  11. Karsdorp PA, Geenen R, & Vlaeyen JW (2013). Response inhibition predicts painful task duration and performance in healthy individuals performing a cold pressor task in a motivational context. Eur J Pain PMID: 23788405

  12. Crombez G, Van Ryckeghem DM, Eccleston C, & Van Damme S (2013). Attentional bias to pain-related information: a meta-analysis. Pain, 154 (4), 497-510 PMID: 23333054

  13. Varangot-Reille C, Pezzulo G, Thacker M. The fear-avoidance model as an embodied prediction of threat. Cognitive, Affective, & Behavioral Neuroscience. 2024 Oct;24(5):781-92.

 
 
 

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